La prima volta che sono andato ad ascoltare Valerio Evangelisti in libreria non sapevo bene cosa aspettarmi. Amavo i suoi romanzi, ma erano storie buie, spaventose, che indagavano il lato oscuro del passato, del futuro, ma anche dell’animo umano. Come sarebbe stato il suo autore? Uno che aveva dichiarato in un’intervista di essersi ispirato ai recessi della propria psiche per creare una figura come quella di Eymerich? Come minimo doveva essere una persona cupa e scostante, pensavo. E se conoscerlo avesse significato rimanere deluso, come a volte accade con i propri miti?
Per fortuna questi timori si rivelarono completamente infondati. Da allora, perciò ho cercato di non perdermi nessuna delle sue presentazioni, anche quando non si trattava di libri suoi, ma magari introduceva qualche piccolo scrittore sconosciuto, categoria verso la quale tante volte si è dimostrato attento.
Valerio Evangelisti, infatti, si era rivelato ancora più interessante delle sue opere, capace di appassionare a lungo il pubblico parlando tanto dei suoi romanzi, di quello che c’era dietro la loro scrittura e degli eventi storici a cui facevano riferimento, quanto, con grande ironia, di se stesso. Ricordo ancora alcuni degli aneddoti con cui riusciva a ottenere sonore risate, come la sedicente sensitiva che lo aveva avvicinato perché si era convinta, leggendone i romanzi, che lui fosse in grado di parlare con i morti; o l’incontro con un gruppo di naziskin che gli aveva fatto temere per la propria vita e che invece lo avevano acclamato… chissà cos’avevano capito dei suoi romanzi?
E, alla fine delle presentazioni, quando noi del pubblico ci facevamo avanti per scambiare qualche parola e stringergli la mano, era sempre accogliente e disponibile con tutti, nonostante, come aveva detto fra il serio e il faceto in una delle sue presentazioni, aveva iniziato a fare lo scrittore perché convinto che si trattasse di un lavoro solitario, e invece gli toccava andare in giro a incontrare persone più di prima.
Così, da quando ho appreso la notizia della sua prematura scomparsa, non riesco a togliermi dalla testa il suo volto e la sua parlata allo stesso tempo quieta e appassionata.
A questo punto dovrei dirvi qualcosa di più delle sue opere, di come, a distanza di tanto tempo dall’uscita del primo romanzo, il suo nome sia ancora il sinonimo di fantascienza italiana; di come abbia contaminato e rinnovato i generi popolari, mettendo insieme fantascienza, romanzo storico, horror, western; di come le storie di pirati non siano più le stesse dopo che le ha narrate lui; di come sia stato capace di creare un personaggio malvagio grandioso e senza scrupoli portando, però, il pubblico a fare il tifo per lui; di come tutta la sua opera, compresi i romanzi storici realistici, siano parte di un unico grande affresco… ma questo magari lo farò più in là, a mente lucida.
Per ora voglio dire solo: grazie, Valerio!